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2001: JOE KUBERT - PRIMA PARTE.

JOE KUBERT - PRIMA PARTE.

PRIMA DI TEX.

Nato in Polonia, il 18 settembre 1926 da Etta e Jacob Kubert". (1)

"Joseph (Joe) Kubert nasce il 18 settembre 1926 nel piccolo paese di Yzeran, in Polonia. I genitori, alla ricerca di migliori condizioni di vita in prospettiva futura per i figli piccolissimi, avevano deciso lo stesso anno di emigrare negli Stati Uniti d’America, dove il padre Jacob inizio’ poi a lavorare come macellaio. I Kubert si integrarono rapidamente nella comunità ebraica di New York stabilendo la propria dimora nel quartiere di Brooklyn". (5)

"L'intervistatore: 'Sa se il paese dove è nato (Yzeran) esiste ancora?' Kubert: 'Anche questo è molto interessante. L’ho cercato spesso. Ed è spesso scritto in 3 o 4 modi diversi. Mi ha contattato una persona che sta scrivendo un libro; ha trovato che la città esiste ancora. Quest’uomo mi ha detto che ha trovato dei registri ufficiali di questa città dove sono segnati i nomi dei miei genitori. È qualcosa di solo 70 anni fa ma in Polonia alla fine degli anni ’30 alcuni paesi sono semplicemente scomparsi; tutte gli abitanti uccisi, tutte le case distrutte… Pensavo che Yzeran fosse uno di questi paesi. Ma questo tale ha cercato e ha trovato il posto ed il nome di mio padre in questo registro di anagrafe!" (10)

"L'intervistatore: 'A proposito di suo padre; in che modo le ha trasmesso le tradizioni ebraiche? Normalmente il passaggio generazionale è parte importante della vostra religione. Per esempio, durante la Pasqua Ebraica (chiamata Pesach) gli anziani di solito raccontano ai ragazzini la storia di come gli Ebrei si liberarono…' Kubert: '…esatto, quando lasciarono l’Egitto'. L'intervistatore: '…beh, “Yossel: April 19th, 1943” prende le mosse il 18 Aprile 1943, proprio il giorno della Pasqua Ebraica. Suo padre ha trasmesso a lei le nozioni e usanze ebraiche in modo tradizionale?' Kubert: 'Sì, i miei genitori si sono comportati così con me, ed è in questo modo che mi sono comportato con i miei figli. E spero che i loro figli ricevano gli stessi insegnamenti a loro volta. È molto importante. Non solo ricordare la storia, ma è importante per ogni persona sapere che sono una parte importante di quello che accade'." (10)

"Tra i suoi modelli ci sono Alex Raymond, il creatore di Flash Gordon, Hal Foster, uno degli autori che ha portato Tarzan nel mondo delle nuvolette, e Milton Caniff, l'apprezzato autore di Terry e i Pirati. Tra le sue letture giovanili, comunque, vanno segnalati anche Prince Valiant, Jungle Jim, l'Uomo Mascherato, Dick Tracy e molti altri". (1)

"I suoi primi riferimenti grafici sono gli albi e le strisce di Harry Chesler, Hal Foster, Alex Raymond, Milton Caniff e Mort Meskin". (5)

"Probabilmente sin da bambino leggevo roba come Flash Gordon, il Tarzan di Foster e più tardi il Prince Valiant e Terry and the Pirates. Per quanto riguarda il cinema c’erano naturalmente King Kong, Scarface (con Paul Muni), Trader Horn, Tarzan, e roba così. Estremamente stimolanti – in aggiunta alle letture che facevo – Il libro della Giungla di Kypling e altro". (2)

"Conobbi Tarzan  attraverso le strip dei quotidiani, non tramite i libri. Ero molto giovane…Non ho mai saputo che il personaggio esistesse prima che ne fosse pubblicata la striscia. Per me, era eccitante, stimolante e meraviglioso da leggere. Quando prendi un artista come Hal Foster, e combini la sua eccellente artigianalità con l’abilità nello story-telling, il risultato è così comunicativo e stimolante per l’immaginazione che ci sono pochissimi altri modi in cui si potrebbe disegnarlo". (2)

"Hal Foster (1892 – 1982), è stato il primo disegnatore della trasposizione in strisce a fumetti di Tarzan". (6)

Foto n. 14.

"Fin da piccolissimo Joe si diverte a disegnare con risultati precocemente ottimi". (5)

"Disegno da quando ho quattro anni. In realtà, a quell’età, ciò che molti dei ragazzi più grandi fecero fu quello di provvedere a fornirmi una scatola di gessetti così avrei disegnato sui marciapiedi…quello è stato il vero inizio della mia carriera.

Sono stato sempre convinto che un fattore che ha permesso a gente come me di entrare nel settore è che generalmente venivamo da un tipo di situazione dove, invece di fare cose che erano al di là della nostra portata economica, ci concentravamo su qualcosa che potevamo fare dovunque. Penso che disegnare sia divertente e che non ci sia bisogno di una seconda persona per farlo. È uno dei passatempi meno costosi, e ci sono poche probabilità di finire in mezzo ai guai. Mi sembra, parlando in generale e se posso generalizzare in tal maniera, che i ragazzi che provenivano da una zona povera, un ghetto e così via, trovavano nel disegno un’importante via di fuga…uno sbocco. Disegnando, illustrando, si poteva entrare in un piccolo angolo ed essere se stessi, escludendo tutto quello che c’era intorno. Inoltre, è una forma di comunicazione. Un sacco di tizi che venivano da zone povere non parlavano bene come avrebbero voluto. A volte, comunicavano attraverso disegni. La mia esperienza è stata che un sacco di gente nel nostro settore veniva da questo tipo di realtà". (2)

Foto n. 28.

"Chissà nel 1939 cosa pensavano del fumetto gli insegnanti di disegno di Joe Kubert alla New York High School of Music and Art, laggiù nella 135a strada di Manhattan. Chissà se l’arte sequenziale era già stimolo di discussioni artistiche o, come tutte le novità, veniva messa da parte laddove c’era il rischio di avvicinarla all’Arte con la A maiuscola". (4)

Kubert: "Mi sovviene una aneddoto. Quando il mio amico Norman Maurer ed io avevamo appena incominciato l’High School, e volevamo diventare fumettisti, ci venne in mente di andare ad incontrare il nostro idolo, Alex Raymond. Ci chiedevamo “come ci potremmo andare?” Decidemmo a casa mia (vivevo a Brooklyn allora) di telefonare a Mr. Raymond, che viveva a Stamford, nel Connecticut, che sembrava essere lontano tanto quanto l’Asia, e dicemmo a Mr.Raymond che Norman ed io eravamo nella redazione del giornale della scuola, e volevamo intervistarlo. Eravamo matricole e non credo che la scuola avesse addirittura un giornale. Fu veramente molto, molto gentile e disse, “Naturalmente! In qualsiasi momento potete farla qui”.

Così in una luminosa domenica mattina io e Norman prendemmo il treno per andare a Stamford. Ricordo ancora l’indirizzo: Mayapple Road, Stamford, Connecticut. Viaggiammo sul treno per una ora e mezza circa, finché arrivammo a Stamford. Dopo, stendemmo il nostro piano: “Allora, cosa gli chiederemo? Che sorta di domande? Gli diremo che siamo del giornale, ma…Come? Cosa faremo? Va bene, in un modo o nell’altro ce la faremo!”. Prendemmo un bus che ci portò a Mayapple Road. Scendemmo dal bus e camminammo per, credo, un quarto di miglio. Arrivammo ad un stupenda casa bianca che doveva essere il sogno di ogni fumettista che fosse mai vissuto. Se tu avessi successo, come fumettista, questo sarebbe il posto in cui andresti a vivere, è il luogo dove vorresti arrivare. Era una lunga, bassa, casa ad un piano, completamente bianca, con un portico colonnato sul davanti.

Molto timidamente suonammo il campanello e un maggiordomo rispose alla porta, un uomo di colore in livrea bianca – proprio come nei film. Io ero qui, arrivato da una zona dell’Est di New York in questo posto. Tutto in un giorno. Uno spostamento simile ad un viaggio da un mondo ad un altro. Ci facevano strada nello studio di Alex Raymond.

Sia io che Norman eravamo molto nevosi, eravamo praticamente senza lingua. Le pareti dello studio erano costellate di libri e piccoli dipinti incorniciati di cose fatte da Raymond. Un’intera parete era una finestra che si affacciava sul retro: boschi, alberi. Così meraviglioso, così eccezionale. Lo stesso studio era quanto un mezzo acro, o forse mi sembrava così in prospettiva. Era la più grande casa del mondo, e, nella mia memoria, lo è ancora. E come se non bastasse, in un angolo dello studio, fermo su un tappeto fatto all’uncinetto, c’era un tremendo mastino marrone.

Mr. Raymond si alzò dal tavolo e ci accolse. Norman ed io eravamo così nervosi, che non riuscimmo a sederci. Rimanemmo impalati là. Siamo rimasti per tre o quattro intere ore così come eravamo. Tutto quello che avevamo visto in quei minuti dal nostro arrivo era troppo per essere digerito tutto in una volta. Erano quel tipo di cose che avevamo sempre sognato.

Incominciammo a parlare con Mr. Raymond, chiedendogli cosa stesse facendo, e cosa avrebbe voluto fare. Allora, ricorderai, stava ancora facendo Flash Gordon, e la cosa più vivida nella mia testa è la sequenza sul Pianeta Mongo. In effetti è la cosa più grande che sia stata fatta in una striscia sindacata.

Ci parlò come se noi fossimo dei suoi colleghi adulti, che era il più grande complimento del mondo. Ci chiese dei nostri progetti, quello che volevamo fare, e noi gli parlammo brevemente di noi stessi. Ci chiese cosa pensassimo del suo lavoro e avemmo il coraggio di dire: “Cavolo, ci piace la roba che facevi prima, ma crediamo che quello che stai facendo adesso è tutto sommato buona”. Erano due ragazzini che amavano la vecchia roba come Flash Gordon e the Underwater Kingdom, gli uomini leoni, gli uomini uccelli etc. Era giunto ad un punto in cui era diventato molto più elegante e sofisticato, più di un illustratore. Stava facendo anche dei libri di illustrazione per una serie di volumi di Mark Twain che erano davvero favolosi. Credo che non apprezzassimo altra roba che le vecchie cose, dove Flash combatte i malvagi sul pavimento con coltelli. Forse non ci riesco ancora.

Comunque, Norman ed io eravamo là da tre o quattro ore. Eravamo rilassati e nervosi nello stesso tempo. Ci offrì da mangiare. Non prendemmo nulla. Un bicchiere d’acqua? No, non volevamo nulla – non ci eravamo ancora seduti, eravamo tanto nervosi. Aveva una scadenza incombente, ma pazientemente ci permise di restare, parlando con noi per tutto il tempo.

Mentre ritornavamo, sul treno, non riuscivamo a smettere di parlare della nostra “intervista”. “Caspita, l’abbiamo fatto”. Raymond deve avere sospettato qualcosa, perché non prendevamo appunti. Avevamo detto che lo stavamo facendo per il giornale della scuola, ma non prendemmo un appunto per tutto il tempo che restammo lì. Norman più tardi mi chiese: “Credi che ce la faremo mai, Joe?” “Cavolo – un giorno, forse un giorno ci riusciremo, Norm”. Parlammo di quello lungo la strada per il ritorno a Brooklyn". (2)

"Ho cominciato a disegnarli quando avevo 12 anni e mezzo, nel periodo in cui invece di due, tre o quattro editori ce n’erano 25 o 30. A quel tempo un ragazzino come me faceva il giro completo di quei posti in un solo pomeriggio, saltellando da una parte all’altra e cercando di farsi comprare qualcuno dei suoi disegni. Frequentavo l’High School of Music and Art e vivevo a Brooklyn. Era un viaggio di un’ora e mezza in metropolitana, tre ore in totale ogni giorno. Io e il mio amico Norman Maurer – che molto dopo avrebbe lavorato con me su un fumetto 3-D per la St.John, Tor, etc. – eravamo nella stessa classe e molte volte marinavamo la scuola.

Ci incontravamo davanti alla scuola e dicevamo, “Allora, sembra una bella giornata, andiamo in giro”. Portavamo qualcuno dei nostri sketch” schizzi “e facevamo il giro delle case editrici. Sapevamo che era quello che volevamo fare. Disegnare fumetti…raccontare storie con i disegni nella maniera possibilmente più eccitante. Eravamo stati morsi dal ragno del fumetto.

Abbiamo avuto una grande botta di fortuna. Ma, di fatto, il nostro “successo” fu dovuto, più di ogni altra cosa, al nostro essere pestiferi. Andavamo in un posto e gli editori guardavano le nostre cose e dicevano: “Mi dispiace, torna a casa,
e fai pratica.”. Tornavamo a casa e facevamo pratica un altro po’. In una manciata di giorni avevamo tirato su un altro sketchbook. Tornavamo e l’editore diceva: “Di nuova qua bimbi?!? Questa roba non è ancora abbastanza buona per poterla usare. Andate via – e fate altra pratica!”. Ed era esattamente quello che facevamo, fino a che, infine, stremati, compravano le nostre cose". (2)

"Nel 1937 inizia, alla tenera età di undici anni, a farsi le ossa nello studio di Harry Chesler, combinando la sua grande passione per il disegno con la possibilità prima di assistere alla realizzazione (iniziando cancellando le matite dalle tavole e spazzando lo studio) e poi di realizzare in prima persona i fumetti che aveva già iniziato ad apprezzare sulle pagine dei quotidiani e sulle riviste a fumetti dell’epoca". (5)

"A tredici anni incomincia a frequentare lo studio di Harry Chesler". (3)

"Collabora come apprendista per la Harry A Chesler, piccolo editore americano, guadagnando 5 dollari a pagina". (1)

"L'intervistatore: 'Torniamo di nuovo agli anni ’30. Lei frequenta in quel periodo la New York High School of Music and Arts: cosa si studiava in quella scuola a quel tempo?' Kubert: 'Ah, quella scuola era eccezionale. Si frequentava dall’ottavo anno al dodicesimo. Sono gli anni della scuola superiore (la High School). Dovevi sostenere un test in materie artistiche per poter essere accettato. Inoltre i tuoi voti, non importa la materia, dovevano essere alti per poter entrare nella scuola. Oltre ai corsi normali (come matematica, scienza e così via) c’erano due corsi speciali (come uno nel quale insegnavano a disegnare dal vivo – ma solo da modelle vestite! o da oggetti). Cio’ che ho avuto dalla mia esperienza in quella scuola è stato l’aver imparato a disegnare. Per molti giovani disegnatori di fumetti il modo di imparare a disegnare è guardare altri fumetti; ma non è la strada giusta per imparare. Perché i disegni di un altro artista sono sempre il suo modo personale di interpretare cosa sente. È come imparare a scrivere usando come riferimento i fumetti; dovresti essere pazzo per farlo. Ed allo stesso modo è da pazzi credere di poter imparare a disegnare guardando altri fumetti. Perché in questo modo non ti assicuri le basi per poterlo fare. In quella scuola insegnavano le basi. Ho successivamente disegnato fumetti (non c’erano, all’epoca, corsi di fumetto) ma sono stato in grado di usare cio’ che ho imparato in quella scuola per fare quello che volevo'. L'intervistatore: 'In quel tempo, alla fine degli anni ’30, probabilmente nessuno pensava che disegnare fumetti potesse essere un lavoro serio'. Kubert: 'Ho avuto il mio primo lavoro in questo campo quando ancora ero alla High School a New York, quando avevo dodici anni! Già lavoravo! Il boom dei comic books scoppio’ un paio di anni dopo e li adoravo! Prima di quegli anni esistevano le strisce a fumetti sui giornali, come Price Valiant, Tarzan, Flash Gordon…(nota: I primi “comic book” intesi nella forma di albo a fumetti “Usa” quasi del tutto uguali a quelli pubblicati oggi erano semplicemente raccolte di strisce a fumetti (tre per ogni pagina) già pubblicate sui quotidiani. La novità consisteva in buona parte nel dare la possibilità di leggere storie molto più lunghe ed articolate. Ben presto iniziarono ad essere realizzate storie “ad hoc” (non ristampe) e, contemporaneamente all’uscita degli Usa dalla Grande Depressione, inizio’ un vero e proprio boom per il Comic Book)'. L'intervistatore: 'Se parliamo degli autori di queste strisce (come Foster, per esempio) parliamo di qualcuno che è riduttivo indicare come autore di fumetti, erano Artisti a tutto tondo!' Kubert: 'È giusto. E amavo i loro lavori. Proprio niente da invidiare all’arte'. L'intervistatore: 'La fine degli anni ’30 in Usa videro l’inizio del grande successo di pubblico dei fumetti'. Kubert: 'Beh, quasi nessuno fra chi realizzava fumetti a quei tempi raccontava che tipo di lavoro facesse. Avevano tutti vergogna'. L'intervistatore: '…più o meno come oggi?' Kubert: Oggi molto meno, direi'. L'intervistatore: 'Alfredo Castelli, noto autore italiano ha raccontato come ancora oggi un autore di fumetti sia spesso restio a spiegare cosa fa nella vita (Racconto in breve quanto scritto da Castelli suscitando grasse risate in Kubert)'. Tornando al suo mestiere: credeva che avrebbe vissuto una vita intera realizzando fumetti?' Kubert: ' Non ci pensavo in alcun modo. Era qualcosa che avevo sempre voluto fare. E già da ragazzino avevo avuto la possibilità di farlo come lavoro…' L'intervistatore: '…con un compenso di $5 a tavola?' Kubert: 'No, all’inizio erano 5$ alla settimana. Sono passato a 5$ a pagina quando ho pubblicato la mia prima striscia, ma usualmente il compenso era di 5$ a settimana'. L'intervistatore: 'Il costo dei fumetti era 10 centesimi, esatto?' Kubert: 'Esatto'. L'intervistatore: 'Come i romanzi pulp?' Kubert: 'Probabilmente i pulp costavano 15 centesimi'. L'intervistatore: 'Beh, quei romanzi constavano in centinaia di pagine scritte da entusiasti giovani pionieri del genere, ma spesso erano piene di errori (di ortografia, grammatica, erano scritte in pochissimo tempo e senza quasi revisione). Riuscivano pero’ a catturare l’attenzione del lettore, erano eccezionali in questo'. Kubert: È vero. Oggi si pensa a loro come ai pionieri che hanno creato la SF. Come dicevo prima, devi solo lavorare e soprattutto vivere abbastanza a lungo, da trovare qualcuno che, prima o dopo, apprezzi quello che hai fatto in passato'. L'intervistatore: 'Quindi ha imparato a realizzare i fumetti semplicemente realizzandoli'. Kubert: 'Beh, quella è stata un’opportunità che ho avuto semplicemente a causa dei tempi contingentati che avevamo per produrre i fumetti: 64 pagine erano un numero enorme di pagine da riempire! E così anche per i giovanissimi come me, al loro primo lavoro, a 13 o 14 anni… beh, spesso pero’ erano lavoracci, i disegni erano pessimi. Non so se i miei erano buoni ma cercavo di fare le cose al mio meglio. Mi hanno letteralmente dato l’opportunità di imparare il lavoro facendolo'. L'intervistatore: 'Ma dopo tanti anni oggi lei sembra dare grande attenzione al fatto che per realizzare un fumetto significa dover fare molte altre cose oltre che a disegnare una tavola'. Kubert: 'Oh sì!' L'intervistatore: 'L’idea che “fare fumetti” corrisponda a disegnare e basta è sbagliata'. Kubert: 'Non è solo disegnare, esatto'. L'intervistatore: 'Tornando ai suoi inizi; mi sembra di aver capito che all’epoca c’erano studi con 5/10 persone che disegnavano aiutando come assistenti le”star” di prima grandezza'. Kubert: 'Bob Kane aveva molte persone che lo aiutavano quando realizzava Batman; Jerry Robinson, uno degli disegnatori più importanti, era anche lui uno degli assistenti di Kane in principio. Molti artisti avevano bisogno di assistenti; ancora di più quelli che realizzavano fumetti per i giornali, per i Syndacate (nota. I Syndacate erano (e sono) distributori di fumetti su scala nazionale che si occupavano (e si occupano tuttora) di acquistare le opere dagli autori e distribuirle su scala nazionale in Usa ed internazionale in tutto il mondo creando una rete di periodici che (raccolti sotto lo stesso Syndacate) pubblicano contemporaneamente lo stesso fumetto. Esempio classico il King Feature Sindacate); a causa delle scadenze c’erano molte cose da fare ed avevano bisogno di aiuto per completare il tutto. Beh, i risultati non erano eccezionali. A molti disegnatori a quei tempi piaceva sì disegnare, ma anche guadagnare un po’ di soldi!' L'intervistatore. 'Ha iniziato come assistente per qualche altro autore?' Kubert: 'Non sono mai stato un vero e proprio “assistente”; non ricordo di esserlo mai stato per nessuno, a dire il vero. Ma da ragazzo ho lavorato per Will Eisner, sì, nel suo studio. Credo di aver visto Will solo un paio di volte in quegli anni ma lavoravo lì, comunque. Cancellando le matite sulle tavole, facendo un po’ di tutto. Ero ancora alla High School'. L'intervistatore: 'Se devi imparare a fare fumetti niente di meglio che imparare da Will Eisner…' Kubert: 'Eh sì. Solo successivamente è diventato uno dei miei migliori amici'. (10)

"Uno dei miei primi lavori che feci fu probabilmente per Harry Chesler che aveva uno studio in cui c’erano Charlie Sultan, George Tuska, Ruben Moriera, e circa un mezza dozzina di altri tizi – alcuni veri e propri veterani. Questo è successo all’incirca trentacinque anni fa. Ci andai per cercare lavoro, e invece di cacciarmi quell’uomo fu così gentile da dirmi: “Non posso utilizzare i tuoi lavori, ma hai del talento. Che ne dici di venire qui dopo la scuola ogni giorno per un paio d’ore, ti darò cinque dollari a settimana. Dovrai soltanto sederti qui e disegnare. Vedrò di far venire gli altri a dare un’occhiata alle tue cose”. È stata la cosa più importante che qualcuno abbia potuto fare per me.

Sono passati un sacco di anni da allora. Circa due anni fa mia moglie si trovava in un negozio di cornici della zona e un anziano signore accanto a lei ha notato il mio nome sul suo pacco. Era Harry Chesler, e viveva giusto a dieci minuti da qui. Non l’ho visto per oltre trent’anni. Ha seguito mia moglie sino a casa, non sapevo che lui stesse arrivando…e all’inizio non l’ho riconosciuto! Ha detto, “ Tu sai chi sono, non è vero? Non ti ricordi di trentacinque anni fa?”. Aveva lo stesso sigaro – chiunque ha lavorato per Harry ricorderà che aveva sempre un sigaro piantato in bocca – e quel suo capello calato di lato, e indossava sempre una canottiera, “Oh mio Dio!”. È stato veramente fantastico vederlo di nuovo.

Possiede un sacco di lavori di più di quaranta anni fa. Per lui ha lavorato il creatore di Little Nemo e ne possiede alcune tavole originali. In più ha i fotogrammi di Gertie the Dinosaur che mi ha donato e che ho incorniciato di sotto". (2)

"Mentre ero ancora alla Junior High School a Brooklyn c’era un tizio di nome Melvin Boudoff, che veniva a scuola con me, la settima o l’ottava classe. Stavo disegnando quella roba che tanti bambini fanno – uomini muscolosi, cose che remotamente ricordavano Tarzan – e Melvin aveva un parente che l’avrebbe portato a lavorare per la Archie, che all’epoca si chiamava M.L.J. Penso che il signor Golwater, il vecchio, fosse il suo aggancio oppure qualcun altro, e Melvin mi suggerì di portare i miei schizzi alla M.L.J. e provare a chiedere se avessero un lavoro. È stato nel 1937 o nel 1938.

Lo feci. Presi la metropolitana e vi portai i miei lavori. Riesco ancora a ricordare l’odore di quel posto, l’odore di carta e inchiostro. In quel periodo gente come Mort Meskin, Charlie Biro, Harry Shorten, Lynn Streeter – nomi probabilmente dimenticati – facevano parte dello staff, guadagnando forse 40 o 50 dollari a settimana. Per me, era come arrivare nel Valhalla – il paradiso. Questa gente mi trattò come se fossi figlio loro. Erano amichevoli, così simpatici, pieni di attenzioni…ero un ragazzino di 11 o 12 anni, che portava ogni volta questi disegni insignificanti e appiccicaticci … e allora pazientemente si sedettero e mi parlarono, dandomi lo stimolo per andare avanti e facendomi credere che c’era una possibilità, che forse, alla fine, ce l’avrei fatta. Questo è il motivo, oggi, per cui ogni qualvolta un ragazzo entra in ufficio e chiede: “Posso vederti, Joe, posso parlare con te?” o forse: “Vorrei disegnare fumetti”, mi prendo un po’ di tempo per sedermi e chiacchierare. È una sorta di ricompensa al passato per l’aiuto che ho ricevuto da quasi tutti quelli che ho incontrato nella mia carriera". (2)

"Quando ho incominciato a fare fumetti, la DC era considerata la vetta. Se dicevi a chiunque che stavi lavorando per la DC, che era all’apice, significava che non saresti potuto arrivare più in alto. La Dc era, e lo è ancora, la più grande e la migliore. Sono abbastanza sicuro che anche oggi un casino di ragazzi credano la medesima cosa, che se potessero concludere un accordo per farsi pubblicare i propri lavori dalla DC…beh, allora lo farebbero. Ma sono riuscito ad entrare alla Dc tardi, quando lavoravo già da un bel po’. Prima di allora, ho lavorato probabilmente per tutte le compagnie del settore, Timely, Avon, M.L.J., Quality, Biro and Wood…e via dicendo. In effetti, Carmine Infantino ed io lavorammo insieme alla Avon per diverso tempo. Horror, fantascienza e western, come Jesse James. Lui disegnava e io facevo roba presentabile per essere inchiostrata". (2)

Foto n. 15.

"A sedici anni pubblica i suoi primi fumetti". (3)

"Inizia, a cavallo del 1940, a lavorare in maniera definitiva e consistente come disegnatore realizzando già discreti guadagni; si trasferisce con la famiglia nel New Jersey, dove il padre abbandona il lavoro di macellaio. La lista delle sue pubblicazioni è enorme; si inizia con Volton per la Holyyoke nel 1942, per proseguire per tutti gli anni ’40 con Boy Buddies e Black Witch per MLJ, Phantom Lady e Espionage per la Quality, Dr. Fate, Hawkman, Zatara, Johnny Quick, Newsboy Legion e Flash per la DC ed alcuni lavori per la Marvel (allora Timely), Fiction House, ed altre ancora". (5)

Foto n. 3, 8, 25.

"Negli anni Quaranta collabora con numerose case editrici, disegnando tra l'altro Phantom Lady per la Quality e Newsboy Legion, Flash, Green Lantern e Hawkman per la National (la futura DC Comics)". (3)

"Dopo quello, ma non sono sicuro dell’ordine temporale, ho impacchettato fumetti. Stavamo in un ufficio su Park Avenue – sembrerebbe figo, ma in realtà era un caseggiato circondato da tutti quegli edifici raffinati, il posto più malandato che abbia mai visto. Largo otto piedi e alto sei piani, stavamo all’ultimo piano. Gente come Alex Toth, Carmine, Hi Rosen…in fondo all’isolato, Howie Post…un sacco di gente era in quella zona, tra la 35a Strada e Park Avenue. Questo è stato poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, prima che partissi per il militare nel 1951". (2)

"L'intervistatore: 'Dove hai passato gli anni coreani?' E Kubert: 'Ero stato arruolato nel ’51, vi rimasi per due anni. I primi sei mesi li ho passati a Fort Dix e l’altro anno e mezzo in Germania'. L'intervistatore: 'Facevi qualche disegno?' E Kubert: 'Oh certo, tutto il tempo. Facevo delle cose per il quotidiano dell’esercito e lavoravo anche per il National. Julie Schwartz accettava una storia di quattro o cinque pagine una volta ogni tanto. Fui assegnato come personale permanente a Sonthofen, nella Germania del Sud, ed era proprio come svolgere un lavoro normale. Una volta che le tue otto ore erano finite, qualsiasi cosa che facessi con il resto del tuo tempo era affare tuo, più o meno. Come quando lavoravo nei fumetti". (2)

"Di rientro dai due anni di leva ritorna a lavorare per la Harvey e EC Comics". (5)

"Vanta, tra gli altri, un importante primato: è il principale ideatore nella creazione del primo comic book in tre-D (1952,  Mighty Mouse)". (1)

"Circa alla metà degli anni ’50 realizza per la Archer St. John la serie preistorica di vago sapore “tarzaniano” Tor of 1,000,000 Years Ago". (5)

"Tor è un personaggio del mondo fumettistico statunitense che non si può definire né originale né di gigantesco successo di pubblico. Eppure lega il suo nome e la sua storia ad alcune singolari vicende che lo rendono comunque importante, conosciuto e particolare. Nel 1950 Joe Kubert presta servizio per la Patria americana, venendo inviato in Germania, ad Amburgo. Durante il viaggio transatlantico per raggiungere la vecchia Europa, oltre ad attività più prettamente militari, si dedica alla realizzazione di un giornale di bordo. Ma il tempo libero è ancora abbastanza da permettergli di gettare le basi per il suo personaggio Tor, o, come lo definisce lui stesso, il suo “Tarzan dell’era preistorica”. Fin da piccolo, infatti, aveva letto con piacere ed attenzione le strisce del personaggio di E.R. Burroughs sui quotidiani e aveva immaginato di scriverne e disegnarne una sua versione personale.

Nel 1952, di ritorno dal servizio militare, Joe Kubert riprende a lavorare nel campo fumettistico con continuità ed inizia ad accarezzare l’idea di pubblicarsi da solo i suoi fumetti. Nel campo ha ormai una vasta conoscenza sia delle tecniche (di disegno, di narrazione ma anche di stampa e distribuzione) che delle persone che hanno voglia di investire e pubblicare sue storie. Dall’Europa porta, oltre all’idea abbozzata del personaggio Tor, anche una novità: su una rivista ha visto alcune immagini stampate per la visione in 3d. Ora, alzi la mano chi non ha comprato da piccolo un qualsiasi albo 3d con disegni a prima vista fuori fuoco con tanto di occhialini con lenti colorate (una rossa ed una blu) che, una volta indossate, davano l’idea della tridimensionalità a quelle tavole prima impossibili da leggere. Oppure chi non ricorda i film 3d, con la distribuzione (Lo Squalo 3, ad esempio), all’entrata del cinema, degli occhialini a due colori? Beh, in America, negli anni ’50, non si era visto ancora nulla di tutto questo e Kubert convinse l’editore St. John a pubblicare alcuni fumetti con questa nuova tecnica in 3d ed anche il suo nuovo personaggio, Tor appunto.

Le parole di Kubert al co-autore delle storie, nonché suo amico e collega, Norman Maurer: “Gee, it would be great if we could do a comic book that included the glasses so that the characters could ‘jump off’ the page” (“Gesù, sarebbe eccezionale se potessimo realizzare un fumetto includendo gli occhiali così che i personaggi possano saltare fuori dalla pagina”). La serie, in principio, ha un successo incredibile; l’idea sfonda e crea un’aspettativa enorme. Gli editori (compreso St. John) si buttano a pesce sulla novità creando, immediatamente, prima l’invasione delle edicole di albi 3d e poi, subito dopo, la repentina morte del fenomeno per “overdose”. Quindi, ricapitolando, Tor conserva un posticino nella storia del fumetto statunitense perché è un “tarzanide” di successo (il primo numero vendette, al costo di 25 cent contro i 10 cent di un normale fumetto, più di un milione e duecentomila copie), perché la sua realizzazione spianerà a Joe Kubert in futuro la strada per realizzare il vero Tarzan e perché è uno dei primi albi in 3d in Usa.
Tor è un “cavernicolo” di un milione di anni fa; potremmo considerarlo come l’alter ego del giovane studente Danny, che “sogna” o “ricorda” (non ci è dato sapere in che modo è correlato a Tor) le avventure del nostro uomo primitivo nella difficile lotta per la sopravvivenza fra dinosauri ed altre incredibili belve sicuramente carnivore. Nelle storie fa capolino Kubert stesso, che spesso, autoritratto, introduce i racconti di Danny in un timido tentativo di meta-fumetto ormai così di voga ai nostri giorni. Il tarzanide kubertiano ha qualche peculiare caratteristica: è un albo a colori molto vivaci; è disegnato in totale libertà di gabbia di vignette (che spaziano in numero indefinito dalle 4 alle 10) senza disdegnare splash page anche su due pagine; ha un tratto non dettagliato ma poco tratteggiato, al fine di non creare problemi nella visione 3d; permette all’autore di liberare la sua vena cinetica che sarà biglietto da visita e marchio di fabbrica del suo successivo approdo alle tavole del “vero” Tarzan.

Dalla Casa Editrice St. John Publishing furono, alla fine, editi solo i primi 5 numeri.

Kubert fece anche provini e storyboard per cartoni animati di Tor. 

Materiale successivo a quei primi momenti pionieristici del 3d, fu realizzato un paio di decenni dopo sempre da Joe Kubert". (8)

Foto n. 1, 4, 13, 16, 17.

In italiano "una storia di Tor è apparsa sul numero 3 di Eureka del 1984. La particolarietà di questa storia era la sua pubblicazione in 3-D, visibile con gli appositi occhialini allegati alla rivista. Sullo stesso numero della rivista comparve anche una storia dell’orrore a firma di Kubert, anch’essa pubblicato con la stessa tecnica tridimensionale". (7)

"Negli anni Cinquanta si dedica soprattutto al preistorico Tor e alle storie di guerra, nelle quali diventa un vero maestro. Basti pensare a Unknown Soldier (Soldato fantasma), Sgt. Rock, Enemy Ace e Green Berets (Berretti verdi)". (3)

"Di seguito c’é da annotare una lunghissima militanza per la DC Comics con una serie impressionante in quantità e qualità di albi di ambientazione “di guerra”: Sgt. Rock (Our Army at war), Enemy Ace, The Unknown Soldier e poi, al di fuori di questo filone, Viking Prince, ancora Flash, ed ancora Hawkman, con Gardner Fox". (5)

Foto n. 7.

"Il soldato fantasma (Unknown Soldier) è stato pubblicato a partire dal 1977 per l’Editoriale Corno in un mensile a colori durato 16 albi". (7)

"In Italia l’Editrice Corno ha pubblicato nel 1977 una collana di 16 albi intitolata Il Soldato Fantasma contenente alcune storie di ‘Unknown Soldier’". (9)

"L'intervistatore: 'Quando hai iniziato a disegnare i fumetti di guerra? E Kubert: 'Sul National, per Bob Kanigher. Stavo facendo dei fumetti per la St.John Publishing Company ed ero impegnato con la creazione e la produzione dei primi fumetti in 3D, Mighty Mouse, One Million Years Ago, Three Stooges, tutti prodotti con il mio caro amico e collega, Norman Maurer. Tor era qualcosa a cui avevo pensato prima di incominciare a lavorare con Norman. Ero arrivato alla St.John prima del suo arrivo nel giro: Norman all’epoca si trovava in California. Ero appena uscito dall’esercito e Archer St. John sembrò essere propenso a farmi fare un paio di fumetti per lui. Contattai Carmine Infantino per primo, lavoravo molto spesso con Carmine in quel periodo, ma era impegnato con un lavoro per il National abbastanza lungo e avrebbe potuto dedicare al mio progetto solo una piccola parte del suo tempo.

Avevo l’impressione che tutto ciò non avrebbe funzionato per nulla. Mi rivolsi a Norman, a condizione che si impegnasse completamente. Si spostò sulla East Coast per lavorare alle riviste. I fumetti 3D furono pubblicati e le prime uscite vendettero incredibilmente bene. Subito dopo, l’intero settore fu inondato da un diluvio di riviste 3D, in più il settore dell’editoria stava per subire un crollo. Alla fine ci dividemmo…Norman provò a spostarsi nell’industria cinematografica mentre io andai al National.

Incominciai a lavorare per Bob Kanigher. Dopo diversi anni incominciammo Sgt. Rock, che fu un’idea di Bob – il personaggio si basava sulla sua scrittura – e fu accolto abbastanza bene". (2)

"L'intervistatore: 'Ricordi ogni cosa riguardo la creazione del personaggio?' E Kubert: 'Allora, fu una specie di evoluzione. Come ho detto, era essenzialmente un’idea di Bob Kanigher e tutto quello che avevo fatto era stato illustrare qualche ottima storia. Mi sembrava, come Bob, che Rock dovesse essere un veterano. Con ciò intendo che dovesse avere una certa età, una figura paterna per tutti quelli che guidava. È difficile dire come lo sviluppai. Disegnai, come Bob sosteneva, alla cieca: in maniera intuitiva.

Ad ogni modo, Bob mi diede carta bianca per disegnare Rock. Bob mi controllava, per quel che concerne la storia. Apprezzo il peso di quella responsabilità molto più adesso che al tempo, ora che le nostre posizioni si sono scambiate. Essere responsabile per lui significava che io dovessi essere fedele all’idea del personaggio, ma il personaggio dimostra quanto fosse completa la nostra intesa al riguardo. Non penso che Rock sia cambiato radicalmente attraverso gli anni. Potrebbe essere perché Bob scrive ancora le storie mentre io lavoro come editor – e dico “azione” con cognizione di causa.

Rock risponde ancora a quella tipologia di individuo che si trova in situazioni insostenibili e difficoltose….un’atmosfera di guerra….dove deve fare attenzione ai suoi “ragazzi” e a se stesso. Non gli piace, non si diverte ad uccidere, non uccide per il gusto di uccidere; se avesse la possibilità di uscirne fuori, lo farebbe, ma c’è questa questione di senso di dovere, responsabilità, termini che sono – credo – sinonimi.

Sai, è divertente, ma…illustrare o scrivere storie su qualsiasi altra guerra sembra non possedere la verosimiglianza o la credibilità delle storie sulla Seconda Guerra Mondiale. Sembra che guerre più recenti come quella di Corea o del Vietnam non siano letture accettabili. Sono ancora troppo vicine, credo. Non posso indicarne con esattezza le ragioni, ma le vendite dei fumetti che presentano quel tipo di materiale sono fiacche". (2)

"Fu Robert Kanigher a creare Sgt. Rock, nel 1959 come primo personaggio fisso della collana antologica di storie di guerra intitolata Our army at war, sul n.81. Nelle prime due storie si chiamava “Sgt. Rocky”, ed era soprannominato “The Rock of Easy Company”, ovvero “la roccia della compagnia EASY”. Easy Company era il nome del gruppo di soldati di cui il sergente era a capo, ed ogni soldato aveva un soprannome, che gli veniva dato al suo primo arrivo alla compagnia. Ma con l’arrivo di Joe Kubert alle matite (nel n.83, dopo solo due storie che erano state disegnate rispettivamente da Ross Andru e Mort Drucker) il personaggio assunse il nome definitivo di ‘Sgt. Rock’ (il nome completo è: Franklin John Rock), in una storia ormai entrata nella leggenda, intitolata The Rock and the Wall. Lo stesso Kanigher anni dopo dichiaro’ che la prima vera storia del sergente era proprio quella disegnata da Kubert. La serie in seguito prese il nome del suo personaggio principale (dal n.302), per terminare 30 anni dopo nel 1988 con il n.422, disegnato e colorato per l’occasione dallo spettacolare team di Joe Kubert, con i figli Andy e Adam. Sulla stessa collana debuttano anche altri due personaggi ideati dalla coppia, che divenne famosa come K-K: Enemy Ace (nel n. 151 del 1965) e Unknown Soldier (in Italia è stato tradotto come ‘Il Soldato Fantasmà anche se in realtà la traduzione corretta sarebbe “il Milite Ignoto”), sul n.168, che poi passa immediatamente ad essere il personaggio principale dell’altra collana antologica Star Spangled War Stories dal n.151.

Molti sono i disegnatori che si sono alternati sul personaggio, ma quello che ha determinato l’impronta stilistica di tutta la serie è stato proprio il nostro Joe Kubert, che con il suo segno graffiante si è immediatamente fatto notare, riuscendo più di ogni altro a ritrarre le espressioni di paura, sofferenza o angoscia, nei i suoi protagonisti dai caratteristici volti scavati, rendendoli più reali, dando al lettore la tangibile impressione di quanto sia dura e crudele la guerra, e dipingendo alla perfezione l’impotenza dei soldati, che spesso ci si trovano catapultati nel mezzo senza neppure sapere esattamente cosa stanno facendo. Inoltre nel corso degli anni l’artista arriva ad una sempre maggior padronanza del mezzo espressivo, dosando sapientemente i tempi e le pause dell’azione, rendendo così estremamente scorrevole la sua narrazione per immagini, anche al di là della

sceneggiatura, che comunque nei fumetti americani non è mai troppo dettagliata, lasciando così ampio margine a chi poi è incaricato di visualizzarla sulla carta.

I testi di Kanigher fanno delle storie del Sergente un’eccezione alla regola di quel periodo post bellico, in cui tutte le storie di guerra erano tese ad esaltare le gesta dei bravi soldati americani, senza pero’ dare un minimo di realismo al contesto. Nelle storie del Sgt. Rock invece, le situazioni sono drammaticamente reali, con descrizioni abbastanza dettagliate di cio’ che provoca realmente una guerra, comprese le morti dei compagni di plotone. Infatti quasi in ogni episodio la Easy Company perdeva qualche effettivo, anche se l’ingrato compito di “carne da cannone” veniva svolto soprattutto (ma non sempre) dalle nuove reclute che si aggiungevano man mano, mentre il gruppetto originario bene o male riusciva a sopravvivere per buttarsi in nuove avventure. E proprio in questo contesto “realistico” si inseriscono alla grande i disegni di Kubert, che pur con il suo stile molto “grafico”, ma contemporaneamente anche molto dettagliato, riesce in modo esemplare a rendere gli scenari di guerra, sia quelli più solari che quelli più oscuri e “sporchi”. Oltre a caratterizzare il personaggio disegnando centinaia di tavole, Kubert è anche l’autore della maggior parte delle splendide copertine, dove la sua capacità di sintetizzare la storia in un’unica immagine è davvero esemplare. Inoltre ha anche scritto personalmente diverse avventure, ed è perfino stato l’editor della collana del sergente per 25 anni!" (9)

Foto n. 2, 5, 6, 9, 10, 18, 23, 24.

"Alcune storie del Sgt. Rock sono state pubblicate dalla Editrice Cenisio negli anni ’70, in una serie di 6 numeri di piccolo formato in bianco e nero". (7)

"In Italia, ben poco è giunto del Sgt. Rock disegnato da Kubert. Poche sue storie sono state pubblicate dalla Editrice Cenisio nel 79, in una serie di 6 numeri di formato ridotto in bianco e nero. Due vecchie storie con disegni di Kubert si trovano sugli ultimi numeri degli Albi del Falco (529 e 549) pubblicati dalla Mondatori". (9)

"Diventa direttore della National nel 1967". (3) 

L'intervistatore: "Parlaci della tua esperienza con le strisce sindacate, Tales of the Green Berets". Kubert: 'È stata una bella  esperienza. Quello che ho apprezzato maggiormente è stata l’opportunità di applicare le tecniche dei fumetti ai media sindacati; in uno spazio commerciale che diversa gente che lavora nel settore dei comic book ha cercato di penetrare. A testimonianza di ciò, non credo ci sia qualcuno in questo settore che non abbia almeno una striscia, che non è stato in grado di vendere, a prendere polvere in soffitta.

Con Tales of the Green Berets  sono riuscito a sfondare nella più importante agenzia del mondo, la New York News-Tribune Syndicate – la striscia era sul New York News, sul Chicago Tribune, e diversi altri giornali prima che scemasse. Le ragioni della sua morte sono diverse, varie e complicate.

Inizialmente, fui contattato da Jerry Capp, il fratello di Al, che mi disse che c’era la possibilità di vendere una striscia sindacata riguardante un libro che non era ancora stato pubblicato. Tales of the Green Berets di Robin Moore. Non incontrai Moore allora, non conoscevo neanche Jerry Capp o dove avesse trovato il mio nome. Mi sembra che un altro tizio, che all’epoca non conoscevo, di nome Neal Adams, che allora disegnava la strip di Ben Casey, anch’essa scritta da Jerry Capp, quando fu contattato da Jerry per disegnare qualche schizzo delle strisce dei Beretti gli disse che doveva cercare Kubert, se avesse voluto qualcuno che aveva fatto per diverso tempo fumetti di guerra e fosse in grado di fare un buon lavoro".

L'intervistatore: "C’è una foto sul tuo muro dove stringi la mano a John Wayne sul set di Green Berets…" Kubert: 'C’è Robin Moore tra di noi, l’autore del libro'. L'intervistatore: 'Perché non ci descrivi il viaggio?' Kubert: 'Allora, volammo a Ft.Benning, Georgia, dove parte di The Green Berets era stato girato. Scelsero un terreno che sembrasse molto simile a quello vietnamita. Rimasi affascinato. In effetti, avevo alcuni schizzi della parte delle sequenze notturne in cui sparano, e la costruzione di altre sequenze d’azione. Fu abbastanza elettrizzante incontrare John Wayne per la prima volta, come incontrare una leggenda, faccia a faccia. Ho incontrato anche il tizio che recitò in King Kong il ruolo del protagonista maschile, Bruce Cabot'. L'intervistatore: 'Il co-protagonista'. Kubert: 'Recitò una piccola parte in The Green Berets. Fu un’enorme emozione per me, perché come ti ho detto prima, King Kong è uno dei miei primissimi ricordi d’infanzia. La striscia fu allo stesso tempo un’esperienza felice e agrodolce, perché potenzialmente sentivo che sarebbe potuta andare molto meglio'. L'intervistatore: 'Quale fu il problema?' Kubert: 'C’erano alcuni conflitti riguardanti il modo e la direzione che la storia doveva prendere. Sentivo che c’erano troppi urrà, troppo sciovinismo, e troppa distanza da ciò che – credo – i lettori di strisce a fumetti cercassero, cioè evasione, avventura e romanzo. È  morta perché non riuscii a cambiare l’idea di base dello scrittore.

Fui cacciato dall’agenzia con un’enorme liquidazione. Più di qualsiasi altra striscia a memoria d’uomo. Hanno speso un’impressionante quantità di quattrini.

L’idea era quella di usare il titolo, The Green Berets, come punto di partenza, per uscire allo scoperto; credevo che non avremmo dovuto mai relegarla in una striscia di guerra per sé, come Terry and the Pirates non era limitato solo a Terry e i pirati. Terry andò via e fu coinvolto in avventure di tutti i tipi che non avevano nulla a che fare con il fatto che faceva parte della forza aerea oppure dell’esercito oppure con i Pirati. Terry divenne una storia eccitante e leggibile – mentre invece, principalmente, temo che Green Berets non funzionasse.

Quello che tu stai ascoltando è abbastanza di parte, è un punto di vista, naturalmente. Sono sicuro che Jerry Capp potrebbe darti una mezza dozzina di buone ragione perché la colpa cada su di me per la chiusura della striscia. Al riguardo io la penso così". (2)

Foto n. 19, 20, 21.

L'intervistatore: "'Riprendiamo dal ritorno alla Dc dopo aver lascito Green Berets?' Kubert: 'Carmine Infantino mi contattò. C’erano diverse altre cose che volevo fare, diversi altri posti dove volevo andare, diverse altre idee che avevo in testa. Ma, fu allora che fui contattato da Carmine. Carmine e Irwin Donenfeld mi chiamarono in ufficio e mi proposero di ritornare alla DC. Mi proposero un contratto che mi sembrò buono'. L'intervistatore: 'Saresti entrato come Editor allora?'

Kubert: 'Si, e allora c’era bisogno di qualcuno che gestisse i fumetti di guerra con capacità editoriale. Avevo fatto strisce di guerra per parecchio tempo. Carmine ed io ci conoscevamo da tanto tempo, sin da quando eravamo ragazzini. E i miei anni di esperienza sarebbero stati valorizzati. Fu alquanto naturale che ritornassi'. L'intervistatore: 'Diventare editor ha cambiato la tua prospettiva delle cose?' Kubert: 'Non è successo. Mi ha soltanto permesso di esercitare idee e giudizi che possedevo da tempo. Quando lavori per un editor, devi fare un tipo di lavoro che accetterà. Accettando la responsabilità di un editor, allora i meriti o le critiche saranno per i miei errori, non per quelli di qualcun altro. Come editor posso  mettere alla prova quello che penso molto più di come avrei o potrei fare lavorando per qualcun altro'. L'intervistatore: 'Raccontaci la storia di Enemy Ace…' Kubert: 'Un’altra creazione di Bob Kanigher. La premessa in questo caso fu un cosiddetto farabutto che assume il ruolo dell’eroe. Fu una striscia molto divertente da realizzare. Un cambiamento totale tanto quanto lo erano le illustrazioni…e la storia, poi. Provare ad infondere la sensazione del volo in un pezzo di carta di sei pollici per nove non è una cosa molto semplice da fare. Già, fu un lavoro molto divertente.

Dopo aver fatto un gran numero di ricerche, attraverso tanti, tanti libri su questi aeroplani, come erano fatti e come volavano, conclusi che i ragazzi che guidavano questi fragili accrocchi di fil di ferro, sputo e stoffa, questi primi aviatori dovevano esser stati incredibilmente coraggiosi. Alcuni di questi aerei non avevano copertura sul fondo – potevi vedere il suolo proprio giusto sotto i tuoi piedi. Ho provato a restituire quella sensazione di aria, volo e cielo. Inserire tutto questo nel volo e nella battaglia, ad una così grande distanza dalla terra, fu un cambiamento sostanziale per me e qualcosa che mi gratificò parecchio". (2)

Foto n. 11, 12, 22.

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(1) 'Joe Kubert' sul sito Internet di Wikipedia:  https://it.wikipedia.org/wiki/Joe_Kubert

(2) Tonio Troiani "Il celebre signor k: intervista a Joe Kubert" data 8 novembre 2012 sul sito Internet Conversazioni sul fumetto: https://conversazionisulfumetto.wordpress.com/2012/11/08/il-celebre-signor-k-intervista-a-joe-kubert/

intervista di Guy H. Lillian III e apparsa sul primo numero di The Amazing World of Dc Comics, Luglio/Agosto 1974, DC Comics, United States.

(3) 'Kubert' sul sito Internet della Fondazione Franco Fossati: http://www.lfb.it/fff/fumetto/aut/k/kubert.htm

(4) Davide Occhicone 'L'arte di Joe Kubert' sul sito Internet Lo spazio bianco data 7 febbraio 2006 http://www.lospaziobianco.it/arte-joe-kubert/

(5) Davide Occhicone 'Biografia di Joe Kubert' sul sito Internet Lo spazio bianco data 7 febbraio 2006 http://www.lospaziobianco.it/biografia-joe-kubert/

(6) 'Hal Foster', sul sito Internet di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Hal_Foster

(7) Davide Occhicone, Alberto Casiraghi 'Joe Kubert: una bibliografia', sul sito Internet Lo spazio bianco data 8 febbraio 2006 http://www.lospaziobianco.it/joe-kubert-bibliografia/

(8) Davide Occhicone 'Tor of 1.000.000 years ago', sul sito Internet Lo spazio bianco data 22 gennaio 2006

http://www.lospaziobianco.it/Tor-of-1000000-years-ago/

(9) Marcello Vaccari 'Il sergente Roccia' sul sito Internet Lo spazio Bianco data 22 gennaio 2006 http://www.lospaziobianco.it/Sergente-Roccia/

(10) Davide Occhicone 'Intervista a Joe Kubert, faccia a faccia col Mito' sul sito Internet Lo spazio bianco data 16 gennaio 2006 http://www.lospaziobianco.it/intervista-joe-kubert-faccia-faccia-col-mito/





TOR di JOE KUBERT sul sito Internet http://www.lospaziobianco.it/joe-kubert-bibliografia/

SGT. ROCK di JOE KUBERT sul sito Internet https://www.google.it/search?q=joe+kubert&ie=utf-8&oe=utf-8&client=firefox-b&gfe_rd=cr&ei=2MoRWZvdCMrHXtHWtsgD#q=joe+kubert+sgt.+rock&stick=H4sIAAAAAAAAAONgFuLUz9U3MM7IMYtX4gIxzXKyskxNtaSyk630k_Lzs_UTS0sy8ousQOxihfy8nEoAKB8-ezUAAAA

HAWKMAN di JOE KUBERT sul sito Internet https://www.google.it/search?q=joe+kubert&ie=utf-8&oe=utf-8&client=firefox-b&gfe_rd=cr&ei=2MoRWZvdCMrHXtHWtsgD#q=joe+kubert+the+hawkman+archives&stick=H4sIAAAAAAAAAONgFuLUz9U3MM7IMYtX4gIxzYrNcuIttKSyk630k_Lzs_UTS0sy8ousQOxihfy8nEoARM4ksTUAAAA

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TOR di JOE KUBERT sul sito Internet Davide Occhicone 'Tor of 1.000.000 years ago', sul sito Internet Lo spazio bianco data 22 gennaio 2006 http://www.lospaziobianco.it/Tor-of-1000000-years-ago/

SGT. ROCK di JOE KUBERT sul sito Internet http://www.lospaziobianco.it/Sergente-Roccia/

YOSSEL di JOE KUBERT sul sito Internet http://www.jlmast.com/2012/08/rip-joe-kubert-tribute.html
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